Gli Apkallu sono esseri semidivini, metà uomini e metà pesci o, nel periodo neoassiro, uomini-aquile, emersi dall’Apsû, l’abisso primordiale, inviati dal dio Enki (Ea in lingua accadica) per insegnare agli uomini i Me, ovvero le arti, i mestieri, il codice morale ed in generale i princìpi universali della civiltà.Apkallu sono chiamati anche i sette Saggi consiglieri dei re antidiluviani.
Erano sottoposti gerarchicamente agli Dei superiori, noti con il termine sumerico Anunna(ki), reso in accadico con Anunnakkū, o, occasionalmente con Anukkū o Enunnakkū.
In generale il nome indica o un gruppo consistente di divinità, sia celesti sia infere, o le sette divinità maggiori che decidono i destini, sia dei vivi che dei morti. Nel mito della discesa agli Inferi di Ištar, il termine è usato nel doppio senso, grandi dèi celesti e grandi dèi degli Inferi.
Nel mito di Nergal ed Ereškigal, così come in quello della discesa agli Inferi di Ištar, gli Annunaki appartengono al regno degli Inferi. Sono i grandi dèi degli Inferi che decidono i destini dopo la morte.
Sia gli Anunnaki che gli Apkallu sono esseri molto spesso raffigurati con le ali, e con due oggetti particolari: una specie di pigna (di solito tenuta con la mano destra), chiamata mulillu ed una cesta (sulla mano sinistra) chiamata banduddu.
Che cosa rappresentavano questi personaggi ?
Possiamo dire che raffiguravano esseri «superiori, divini, nobili di rango sacerdotale e regale», sicuramente vengono raffigurati con la funzione di proteggere «esseri o cose sacre» o di svolgere cerimonie purificatorie.
Nella targa di bronzo (neo assira) conservata al Museo del Louvre (vedi fig. sotto), possiamo notare due Apkallu con la funzione di proteggere un malato a letto. Gli Apkallu hanno la solita cesta (banduddu) nella mano sinistra. Alcuni studiosi suppongono che nel cestello sia presente una «miscela sacra» (acqua, olio, ecc…) e nella mano sinistra una sorta di «aspersorio» (il mulillu) e i due Apkallu potrebbero celebrare una sorta di rito di purificazione con la funzione di guarigione.
Nella pannello (neo assiro 870 a.C.) conservato al Metropolitan Museum (vedi fig. sotto), possiamo notare sopra: due Umani in ginocchio con le mani aperte, quasi nel voler ricevere energia dall’albero sacro; sotto: due Apkallu sempre con la solita cesta (banduddu) nella mano sinistra e la pigna (il mulillu), che invece svolgono forse una sorta di rito purificatorio intorno all’albero sacro.
L’analogia con l’aspersorio utilizzato nelle cerimonie cristiane è un’ipotesi possibile.
Un’altra ipotesi è che questi esseri divini o semidivini abbiano in mano semi di papavero oppiaceo, forse per favorire il contatto con il divino era necessaria una bevanda leggermente allucinogena, come poi avveniva nell’iniziazione ai misteri di Eleusi.
Le ceste ( banduddu) ritrovate nella cultura sumerica sono numerose.
La cosa “curiosa” è che divinità celesti con ceste come il Banduddu non sono un esclusiva della Mesopotamia. Tantissime sono state ritrovate in sculture fenicie, etrusche, Messico (sia Tolteche che Olmeche), Perù, Indonesia, Bosnia, etc.
Curiosi questi popoli antichi che molto prima della globalizzazione, “inventavano” Dei, strumenti sacri, leggende, molto simili, se non eguali, in secoli diversi e in luoghi lontanissimi.
Antichi: strana gente…
Fabrizio Bartoli